Le opere multimateriche di Luisa Capannolo e Stefania Ferella
L’AQUILA. Martedì pomeriggio. Nella sala espositiva della storica Libreria Colacchi del capoluogo abruzzese un fragoroso applauso ha tenuto a battesimo “Duettando”, l’inaugurazione della mostra di opere multimateriche delle artiste aquilane Luisa Capannolo e Stefania Ferella.
Legno e ferro tubano a quattro mani: canto e controcanto. Un’osmosi magica che fluttua tra le dita nello spazio da un solo corpo, ma poi resta sorpresa, nella nobile e candida prigione di un’apparente cornice. Nudi di ovali, sospesi e rarefatti, trapuntati sul colore, tra arabeschi di ciocche e gambi di palpebre appigliate al vuoto. Come se un vento volesse raccontarle, far credere al passante di sussurrargli un languore. Per poi lasciarle chiuse. E farle volare via. O cullarle, farle semplicemente danzare in un “flusso armonico” in perpetuo dondolio.
Queste omozigoti “poetesse del ferro” – questa l’eloquente definizione della storica dell’arte Cristina Aglietti, raffinata madrina della mostra – sbalzano le loro strofe in un’unica, sorprendente scintilla ispiratrice: sfidare la rima, senza mai ripudiarla. Alla ricerca di un suono nuovo, di una sinfonia atonale eppure memore di echi lontani, molata col cuore, en cloison: “Chiù” – titolo emblematico di una delle opere più recenti di Capannolo e Ferella – ci suggerisce il desiderio delle artiste di rincorrere i suoni di un piccolo mondo “fanciullino”, il canto della natura che si fonde e confonde col volto e coi nomi di tutte le donne del mondo.
“Drusilla” è una di queste, una delle tante, ma è pur sempre “Lei”, rapita dalla semplice, laconica bellezza di un fiore, che sta per schiudersi appena.
Salutiamo le artiste sorridenti e felici, così come dovrebbero apparirci le loro opere, dopo il vernissage: ma ci resta dentro la suggestione di un impercettibile languore che non sappiamo spiegare. Dietro il sorriso delle nostre portentose artigiane del metallo, una donna “Celata” solleva una spalla da dietro una tenda, per salutarci rassegnata, incompresa, schiacciando con forza le sue ciglia, forse per trattenere una lacrima. Il bello sta qui: non lo sapremo mai.
Erminio M. Cavalli, giornalista
fonte: www.ilmessaggero.it/abruzzo